Z.E.E.: l’avanzata dell’Algeria uccide la pesca di Sicilia e Sardegna.

Z.E.E.: l’avanzata dell’Algeria uccide la pesca di Sicilia e Sardegna.

La guerra degli idrocarburi uccide anche la pesca nazionale.  Schiacciando le aree di pesca delle flotte italiane e spagnole.   La proclamazione della Zona Economica Esclusiva di pesca algerina, nel Mediterraneo sud-occidentale, per una profondità di circa 180 miglia marine, fa il paio con quella francese, che per altrettante miglia ha preso il possesso del Mediterraneo nord occidentale.

Va detto che con un approccio dissonante rispetto all’UE e al resto del mondo, in Italia si continua oltre che con il diniego delle trivellazioni anche con la riduzione dello sforzo di pesca in 34 anni abbiamo perso 1/3 della flotta, 19.000 posti di lavori, con l’aumentato dell’import di pesce dall’estero passando nel periodo dal 27% a circa l’80%.   Ma nonostante tutto il Nostro Governo continua a tenere una politica internazionale di velluto nei confronti delle rampanti richieste di Paesi vicini e frontalieri.   Il problema è, dunque, cosa fare degli spazi mediterranei di nostro interesse, soprattutto se oggetto di mire di altri Stati.

Piattaforma continentale e Zona Economica Esclusiva (ZEE)

Il fondo del mare e la massa d’acqua sovrastante sono sottoposti a regole diverse ma connesse: sul fondo c’è la piattaforma continentale con le risorse energetiche; sopra, la Zona Economica Esclusiva (ZEE) con le risorse ittiche e gli habitat naturalistici da proteggere. L’Italia si è limitata nel 2011 a istituire, in alternativa alla ZEE, una Zona di Protezione Ecologica (ZPE) nel Tirreno, mentre aveva già delimitato la “propria piattaforma” con Croazia, Albania, Grecia, Tunisia e Spagna.

Nel 2012 su una vasta area di interesse economica relativa agli idrocarburi e di pesca, la piattaforma ad est di Malta, su cui si potrebbero vantare diritti, in modo da contrastare le pretese de La Valletta, non si è mai raggiunto un accordo: per questo non si è potuto nemmeno definire il confine Italia-Libia che tanti problemi sta causando alle flotte siciliane per lo sfruttamento delle risorse ittiche nel golfo della Sirte.  È anche nota la vicenda dell’Accordo di Caen del 2015 tra noi e la Franciache prevede la delimitazione unica di piattaforma e ZEE e che non abbiamo ancora ratificato per la sua iniquità, a causa dei problemi rilevanti ai pescatori liguri.

La creazione unilaterale di una ZEE algerina

Il già difficile puzzle delle aree marine mediterranee che, non dimentichiamolo, Grecia, Cipro e Turchia giocano di continuo a complicare, è divenuto ancora più intricato lo scorso giugno.  L’Algeria, senza alcuna preventiva informazione, ha difatti istituito una sua ZEE con un confine valevole anche per il fondale, che si sovrappone in gran parte alla piattaforma ed alla ZEP italiana a ovest della Sardegna.  Per meglio comprendere la vecchia ZEE algerina aveva una estensione massima di 40 mgl. marine, mentre quella da poco proclamata si estende fino a 180 mgl. insinuandosi a ridosso della acque nazionali antistanti le coste Sarde (n.b.: lambendo le 12 miglia marine dell’Isola, costeggiando Sant’Antioco, Carloforte, Portovesme, Oristano, Bosa, e Alghero).   Una danno per le flotte che storicamente operano in quelle acque.  Parliamo di circa 90 imprese di pesca, prevalentemente barche che utilizzano sistemi a strascico, a tramagli ed a palangaro.

La protesta del Governo italiano, è stata formalizzata lo scorso novembre alle Nazioni Unite, una protesta ferma nella sostanza ma moderata nei toni.  Sorprende comunque, in ogni caso, che un Paese amico, con cui condividiamo interessi energetici per via del gasdotto Transmed Tunisia-Sicilia, possa, per così dire, calpestare i diritti italiani.  Tra l’altro, l’obiettivo algerino non sembra tanto la contestazione delle aree di giurisdizione italiana, quanto di quelle spagnole, la cui legittimità è anche contrastata a nord dalla Francia, che le due operazioni siano concordate ?

Sfruttamento di idrocarburi e delle risorse ittiche contro tutela dell’ambiente marino

Conciliare gli interessi di protezione dell’ambiente marino con lo sfruttamento delle risorse ittiche e degli idrocarburi è la sfida che vari Paesi, come la Norvegia, hanno da anni affrontato e risolto. Anche l’UE si è attivamente impegnata con una direttiva sulla sicurezza ambientale offshore che il MISE ha recepito creando un’organizzazione ad hoc. In sostanza, nessun Paese ha rinunciato alle trivellazioni per motivi ambientali.

Nel Mediterraneo, la Grecia ha iniziato a effettuare ricerche di gas a sud di Creta, mentre Israele, Egitto e Cipro si godono i vantaggi che le loro economie traggono dalla scoperta di grandi giacimenti di gas. Quanto a noi, nell’Adriatico si è creato un vero e proprio distretto energetico incentrato su Ravenna, ma di fatto bloccato. Del nostro disinteresse per i campi metaniferi prossimi alla mediana, trae vantaggio la Croazia.

Il freno inoltre che la Politica Comune della Pesca sta dando alle flotte unionali, contrasta con le pretesa algerina di sfruttare buona parte del mar Mediterraneo centro-sud occidentale, prevedendo una probabile aumento dello sforzo di pesca con la conseguente importazione dei prodotti ittici nei paesi dell’Unione.    Tradotto si prendono specchi acquei,

La necessità una politica estera ed ambientale volta tutelare il mar come patrimonio comune

Le ricorrenti polemiche italiane sulla riduzione dello sforzo di pesca e sulle trivellazioni sono lo specchio di una spiccata sensibilità ambientale del Paese.  La politica ne terrà conto nel valutare se continuare o meno a concedere permessi offshore, considerando evidentemente anche i risvolti economico-finanziari dell’attuale dipendenza energetica ed ittica (80% di importazioni sul consumato) dall’estero.

Compito della diplomazia è infine negoziare con gli altri Paesi i confini di piattaforma e ZEE provvedendo a contestare con decisione le pretese di quei Paesi che si arrogano il diritto di appropriarsi delle risorse davanti alle acque nazionali italiane.

Un chiaro segnale quello algerino, che sommato a quello francese, potrebbe fare leggere l’avanzata come una comune politica di intenti dei due Stati e delle compagnie petrolifere che operano comunemente nei due Paesi, per accaparrarsi le vaste aree di mare ove avviare trivellazioni per la ricerca di gas o petroli e di conseguenza dove sfruttare la presente risorsa ittica.  Sarebbe una beffa avere trivellazioni a 13 miglia dalle coste Sarde quando noi abbiamo rinunciato a trivellare e per la pesca avere, chi senza regole comunitarie della PCP, opera a 13 miglia dalle nostre coste, mentre noi abbiamo attivato politiche di dismissione della flotta e mandato a casa pescatori, con la conseguenza che il loro pescato poi potrà entrare nei nostri mercati.

Si teme inoltre, in caso di mancato contrasto all’iniziativa algerina, un effetto domino da parte di altri Paesi del nord Africa o Magreb, come Libia e Tunisia, che potrebbero vantare l’ampliamento delle loro aree di influenza economica, vista la notoria scarsa resistenza italiana dimostrata nel contrasto agli ampliamenti alle zone di sfruttamento economico da parte di Paesi confinanti.

All’incontro tenutosi oggi presso il MIPAAF, Coldiretti-Impresapesca, ha chiesto al Direttore Generale per conto Governo italiano una posizione di assoluta intransigenza nei confronti delle istanze algerine, a tutela delle imprese e del lavoro dei nostri pescatori italiani.   Non possiamo chiederci dove è l’Unione Europea, a cui compete la politica estera della pesca in un contesto come questo, brava a menare in testa ai nostri pescatori al pur minima violazione, ma defilata quando qualcuno vuole accaparrarsi vaste zone di pesca nel Mediterraneo occidentale a danno dei pescatori italiani e spagnoli.

Vi terremo informati degli sviluppi.

IMPRESAPESCA-COLDIRETTI
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