MANFREDONIA

Il rapporto della comunità con la pesca ha radici antichissime. Il nome Siponto secondo alcuni studiosi di greco sarebbe la traduzione di “posto dove abbondano le seppie”, circostanza sostenuta con forza anche dal fenomeno che in passato vedeva sul litorale da Manfredonia a Zapponeta, in maniera abbondante, la disponibilità di seppia sulla battigia, senza un particolare sforzo da parte dell’uomo. Ad oggi spieghiamo questi fenomeni attraverso le conoscenze che ci arrivano dalla scienza: secondo gli studiosi il golfo sarebbe una zona di riproduzione più unica che rara perché soddisfa tutta una serie di felici combinazioni come le correnti, le piante marine (in particolare posidonia) e il riparo dal mare aperto; un ecosistema delicato che si è sostenuto grazie a una serie di equilibri che col tempo noi esseri umani, seppure con le attività antropiche, abbiamo rispettato.
Per Manfredonia le attività legate al settore hanno rappresentato un mezzo di sostentamento per molte famiglie, ma ridurre a ciò il nostro ragionamento sarebbe del tutto banale, infatti affiancato ad esso possiamo notare l’emersione di una vera e propria cultura identitaria che si trasmette di padre in figlio per generazioni e generazioni. Una cultura arricchita da saperi, miti, storie personali e ricordi leggendari che hanno fatto la fortuna dell’economia cittadina, e che ne siamo certi, continueranno ad avere un ruolo di spicco nello sviluppo Economico dell’Agroalimentare.

Manfredonia - Pescherecci nel porto

Nel viaggio di dialogo costante intrapreso con la marineria di Manfredonia abbiamo scorto delle differenze nei modi di praticare la pesca nel tempo; differenze queste che possono provocare una divergente visione nel rapporto con l’ambiente e l’ecosistema ad esso collegato.
Per spiegare questo concetto mi avvalgo di un esempio che prendo dal mondo dell’arte. Come sappiamo tutti gli artisti creano un colore partendo dalla base, e questo di volta in volta, lo modificano a seconda di ciò che si vuole rappresentare. Negli anni il rapporto con la pesca si è modificato come la tavolozza del colore dell’artista. Inizialmente vi era una maggiore consapevolezza nei confronti dell’ambiente, tanto che i pescatori di lunga data avevano quasi un timore reverenziale nei confronti di questo, perché intuivano come la conservazione delle specie marine potesse servire alle nuove generazioni come mero mezzo di sostentamento; quindi s’intuisce come il valore altruistico era una regola morale, prima ancora che un modo di essere.
I primi pescatori, quelli che siamo abituati a vedere nelle foto ricordo, non possedevano motori sui battelli; si facevano trasportare dal vento e non conoscevano bollettini meteorologici. Permettevano alle onde di farsi cullare nelle notti di mezza estate, mentre erano in gruppo e si spalleggiavano l’uno con l’altro nelle notti d’inverno, utilizzando il profumo del mare come unico timone. Il vento, la pioggia e le correnti, dettavano le sorti delle battute di pesca: capitava una stagione di abbondanza, mentre spesso accadeva di non guadagnare nulla, e allora a quel punto ci si arrangiava. Non possedevano alcun mezzo materiale in più oltre a quello della mera sussistenza.
Quella degli inizi del 900 era una società semplice, ancorata intorno al valore della reciprocità e dell’aiuto costante; una cittadina che si stringeva intorno all’unica risorsa di cui poteva avere immediata disponibilità: la pesca.

Negli anni, però, qualcosa è cambiato, e questa qualcosa prende il nome di progresso tecnologico, che ha permesso di produrre una notevole capacità di cattura e un aumento degli stock ittici presenti sul mercato. La visione dei consumi di massa ha imposto una nuova regola: “tu offri, poi qualcuno comprerà, forse”. E allora la corsa alla pesca e direi “agli armamenti” è cominciata.
Una corsa che ha permesso a tutti di farsi sedurre dalla smania del guadagno, di esserne parte determinante e preda al contempo, in ragione di un unico valore che univa tutti: la ricchezza.

Il settore della pesca nostrana ha oggi risentito degli effetti della crisi Nazionale, a nostro avviso, peggio delle altre marinerie per tutta una serie di problematiche di base che hanno appesantito notevolmente già un settore in difficoltà. Si stima che dal 2000 al 2014 il settore della pesca cittadina abbia contratto il numero dei battelli con un saldo negativo di circa -360, peggio di qualsiasi altra realtà italiana.
I motivi di questi dati sono ravvisabili in:
1) Una posizione geografica sfavorevole del nostro porto, che accentua i problemi delle imbarcazioni che effettuano pesca d’altura, mentre incentiva relativamente le barche della piccola pesca artigianale. I motopescherecci, in generale, per arrivare sulla zona di pesca devono fare ore e ore di vela in più rispetto ai concorrenti nell’adriatico.
2) il venir meno di alcune pesche in deroga, ovvero “pesche speciali” come la pesca del Bianchetto e del Rossetto, attività che da sole potevano incidere sui bilanci delle imprese di pesca per circa il 40% del valore annuale di fatturato, e attività che svolgevamo a livello Nazionale quasi del tutto a livello esclusivo, portando sul mercato il 90% del prodotto. Attualmente siamo inseriti in un piano di gestione della pesca del Rossetto, che ha visto l’assegnazione di un monte di ore a disposizione per tutta la marineria di Manfredonia.
3) Una completa incapacità di lavorare in modo unitario sviluppando strategie e politiche nella direzione del massimo profitto per il pescatore. Attualmente la nostra distribuzione non riesce ad arrivare sui mercati di destinazione in maniera autonoma, affidandosi ad altri vettori, grossi grossisti del sud Italia, e allungando in questo modo la filiera produttiva.
4) l’incapacità di fornire figure professionalizzanti intorno agli affari della pesca hanno portato al fallimento di qualsiasi tipo di iniziativa lodevole (come ad esempio poteva essere la logica consortile), nella direzione di fornire un valore aggiunto alle attività e i servizi post-vendita.

In aggiunta a queste problematiche più di tipo tangibile, con gli anni abbiamo assistito a un inasprimento dei rapporti nel tessuto sociale, che evidentemente non ha aiutato la risoluzione degli stessi, anzi ha fatto piombare la marineria in uno stato di sfiducia generale, favorendo comportamenti di illegalità diffusa e insofferenza rispetto alle regole.

Il quadro delineato a prima vista potrebbe sembrare sconcertante, ma l’osservazione e la conoscenza empirica sul territorio ci hanno fatto pensare esattamente la cosa opposta: ciò che in realtà può apparire un ostacolo immane, rappresenta semplicemente un punto di partenza e uno spunto operativo verso una vigorosa risoluzione delle problematiche.

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